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Ci considerano folli

…a guardarci dal di fuori forse non hanno tutti i torti, come è possibile che un popolo tendenzialmente freddo prenda fuoco ed impazzisca per due mesi l’anno?

Bisogna essere un po’ folli per: trovare afrodisiaco l’odore di sterco di cavallo mescolato all’arancia, emozionarsi al suono delle “giuchinere”, sentire e risentire le stesse Pifferate da anni, acclamare una Signora vestita di bianco su un cocchio dorato, unire in un’unica festa un esercito napoleonico ed un podestà con suo seguito medioevale…

Ma la nostra festa è così, un amalgamarsi di storia e leggenda senza netti confini, un mescolarsi tra sacro e profano, tra violenza e amicizia, tra goliardia e cerimoniale, tra divertimento e duro lavoro. Una festa “interattiva” dove tutti devono partecipare per la riuscita, pubblico compreso. Ogni personaggio ha la sua parte, il suo monologo, in completa armonia con tutto il resto.

Non si può descrivere il nostro Carnevale, bisogna viverlo!
E per amarlo bisogna immergersi dentro, senza paura, con un po’ di follia.

E’ importante allertare tutti i sensi e non essere solo uno spettatore perchè il nostro motto è “semel in anno licet insanire”. Tutto ha inizio il 06 gennaio!! Ebbene si, per noi è l’inizio mentre ovunque l’Epifania ogni festa si porta via ad Ivrea la nostra festa inizia, mentre ovunque ci si mette a dieta o perlomeno ce lo si ripromette, noi iniziamo a mangiare “fagioli grassi”, bugie e a bere “Vin Brulè”… che ci sia il sole, la neve, la pioggia… che ci siano 10 gradi o 10 sotto zero alle ore 8.30 ci si ritrova in Piazza di Città!

E’ un anno che si aspetta questo momento e ogni anno alla prima nota dei nostri Pifferi e Tamburi un brivido ci corre lungo la schiena.

Bisogna
… trovarsi il 6 gennaio dove la mattinata è dedicata ai Pifferi e Tamburi che risvegliano la Città con le loro pifferate e vedere l’emozione negli occhi delle persone quando i Pifferi suonano.

… seguire il corteo nel suo pellegrinaggio cittadino, tra le risate, gli applausi ed i rinfreschi offerti lungo il percorso da commercianti e cittadini.

… mescolarsi tra la folla e guardarla mentre viene letto il primo verbale, percepire l’emozione del Generale per la sua presentazione al popolo gaudente e vedere la commozione negli occhi del Generale uscente.
… ritrovarsi a festeggiare con noi San Antonio dove i cavallanti presentano con orgoglio i loro attacchiper la benedizione, dopo averli accuditi, coccolati, allenati e preparati per mesi, per capire quanta dedizione, riguardo, e amore vi è dietro ad un carro da getto.
… vedere la Città cambiare volto, vestirsi a festa grazie alle squadre di aranceri che imbandierano i loro rioni con i loro colori, con i loro slogan e con le provocazioni verso gli avversari.

I preparativi ribollono, ci si trova nelle sedi per organizzare, stupire, emozionare e anche per festeggiare. Percepire l’entusiasmo che cresce, la Città che si risveglia, si colora come il miracolo della natura in primavera.

Ed in un batter d’occhio trovarsi al “Giobia Gras” che dà il via ai festeggiamenti.

Bisogna
… osservare la prima e la seconda domenica di carnevale che vede protagonisti i piccoli Abbà rappresentanti le Parrocchie cittadine, il Generale con il suo Stato Maggiore, dove si incomincia a respirare l’aria di quello che sarà il carnevale, la sua goliardia e il suo rispetto per il cerimoniale.

… ascoltare i commenti del popolo che curioso si spia e si chiede se tra esso vi è colei che ricoprirà il ruolo di Violetta, figlia del mugnaio.

… capire il palpitare dei nostri cuori, il rito del passaggio dei poteri dal Sindaco della Città al Generale che sino alla fine della festa è il simbolo del potere cittadino.

… emozionarsi nel vedere il Generale salire a cavallo per la prima volta con una schiera di bambini di tutte le scuole che lo acclama, mentre si godono il giorno delle festa dedicato a loro e i piccoli Abbà nei loro costumi venire presentati al Vescovo.

… farsi travolgere dalle nostre emozioni e lasciarsi andare a questa sana follia, vedere intorno gli occhi lucidi del popolo quando con gli sguardi rivolti verso il balcone del Civico Palazzo attende che esca colei che per noi in quei giorni rappresenta l’eroina che ha liberato il popolo dal tiranno dare così inizio ad un altro pezzo della festa!!!

… assaporare i fagioli grassi alle 9 di mattina, fare merenda il lunedì con l’assaggio del merluzzo appena fritto, giostrarsi tra corteo storico e battaglia delle arance sempre allertando tutti i sensi.

… guardare la battaglia, non soffermarsi sulla violenza ma entrare in quello spirito di questi guerrieri che rievocano le gesta dei loro predecessori. Ed è di nuovo un amalgamarsi, la Mugnaia ed il Generale entrano nelle piazze e vengono acclamati dagli aranceri che fermano la loro battaglia per volgere i loro volti bagnati di arance e tumefatti per applaudire i loro eroi.
… soffermarsi e capire che dietro quella cruenta battaglia vi è un profondo rispetto per l’avversario, che può essere un collega, un fratello, il migliore amico, la fidanzata o fidanzato, oppure un perfetto sconosciuto. Capire l’orgoglio di essere degno del proprio avversario, non sottrarsi alla battaglia, ma combattere con tutta la forza ed il coraggio sino allo stremo delle forze. In quel frangente prevale l’istinto animale, è lecito provocare verbalmente perchè l’altro dia il meglio, perché non abbia paura di farsi e fare male …ma quando si ferma la battaglia, si ritorna amici, fratelli, fidanzati o felici di aver incontrato una persona nuova, ci si complimenta a vicenda, ci si stringe la mano e ci si abbraccia.
… vedere come cambia la battaglia, la controllata foga del primo giorno tra una battaglia e una chiacchierata con il compagni di squadra ed i carri, si trasforma in una calma fluidità il secondo giorno, dove gli animi si sono leggermente placati ed i corpi doloranti rallentano la foga per cambiare nell’irruenza disperata dell’ultimo giorno, dove gli aranceri si cercano ed imperano i testa a testa, dove stanchi e doloranti si continua a combattere sino all’ultimo secondo dalla fine… perché poi per un anno non ci sarà più…

Tirata l’ultima arancia, seguire i combattenti che lasciano le proprie piazze per radunarsi con le loro bandiere in Piazza di Città dove tra cori e contro-cori attendono la nomina dei vincitori. Ed ecco che nonostante tutto… i vinti applaudono i vincitori, dopodiché ascoltare la Città che si placa, riprende un lento scorrere e i riflettori tornano puntati sulla parte storica ed il suo ultimo atto.

La festa è al suo termine, se lo spettatore ha avuto la capacità di entrare nella storia a questo punto è impossibile non percepire già la nostalgia infilarsi nel cuore
Anche se stanchi ed a pezzi, già manca, si iniziano a fare bilanci e mentre il Generale si accinge con gli altri personaggi all’abbruciamento degli scarli, la Mugnaia resta in trepidante attesa in Municipio preparandosi per quello che sarà il suo ultimo tributo alla festa e ricevere l’ultimo applauso dal suo popolo, che commosso la inciterà a tenere rivolta verso il cielo la spada che ha tagliato la testa al tiranno, mentre lo scarlo, che simboleggia il castello che brucia, va lentamente spegnendosi. 

Da qui personaggi, aranceri, popolo si dispone per seguire i Pifferi e Tamburi nella loro ultima Pifferata che è una vera e propria marcia funebre. Il Generale ed il suo Stato maggiore scende da cavallo e sgancia le proprie sciabole che strisciando sui cubetti di porfido ed insieme agli zoccoli dei cavalli faranno da accompagnamento alle note del solitario Piffero e Tamburo durante la marcia.
Il Corteo funebre si conclude in Piazza Ottinetti dove si rinnova il saluto….“Arvedze a giobia an bot” e tutti insieme sottobraccio formando un unico cordone si corre verso il Municipio intonando tutti insieme la Canzone del Carnevale per accompagnare il Generale che restituirà le chiavi della Città al primo cittadino e la bella Ivrea con le sue rosse torri si toglierà il trucco ed il costume per tornare ad aspettare il prossimo 6 gennaio.

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