Le Ricette del Canavese
tra ricordi e tradizione
FRITURA DUSA DEL “DI’ DLA FESTA”
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Tiri Enrico
“La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”
OVVERO: SEMOLINO DOLCE FRITTO!
Noi maseresi siamo un po’ confusionari. Abbiamo intitolato la chiesa “nuova”, costruita un migliaio di anni dopo la romanica S. Eusebio, a fine Ottocento, a Maria Ausiliatrice: dunque la festa del paese dovrebbe cadere a maggio. Macchè: fino a quarant’anni fa si festeggiava a fine ottobre, e poi a fine agosto.
Perché? Non si sa. Probabilmente per dribblare la fienagione e l’aratura, e anche per godere di un clima favorevole.
Le nostre certezze sono altre, rispetto alla festa del paese: i priori e se possibile le priore, la messa, la banda, il ballo, e … IL FRITTO MISTO!
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1 litro di latte
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200 gr di zucchero
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Un pizzico di sale
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La buccia grattugiata di un limone
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10 “larme ad pese” ben pestate nel mortaio oppure un bicchierino di amaretto o grappa
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200 gr di semolino
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2 tuorli d’uovo
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2 uova intere
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Panpesto
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Olio per friggere
Il fritto misto è un piatto-maratona, ed era un dovere-piacere del “dì dla festa”, per la mia allenatissima mamma contadina: prima i lavori nella stalla, una riordinata alla casa, poi via con l’impanatura e la frittura di melanzane, zucchine, bistecche, mele, amaretti e ovviamente, immancabilmente, fritura dusa, il semolino dolce.
La mamma preparava la fritura dusa già il sabato pomeriggio, mescolava e mescolava, poi versava la polentina bianca in un paio di grosse teglie, a raffreddare. Subito noi gemelline ci precipitavamo a tirare a lucido la pentola, a gara: l’obiettivo era riuscire a grattare con il cucchiaio, e mangiare, la maggior quantità possibile di semolino rimasto attaccato alla pentola. Il litigio era quasi d’obbligo ma non offuscava il piacere.
Diverse scuole di pensiero al Masero discutevano gli ingredienti: chi considerava indispensabile il liquore Amaretto, chi la grappa; altri proibivano il liquore e imponevano gli amaretti.
Io sono affezionata alla versione della granda Vigia, la nonna Luigia: per dare sapore e profumo di mandorla, si usano le “larme ad pese”, cioè il seme racchiuso nel nocciolo delle pesche, o anche delle albicocche.
Ecco perché il davanzale della mia cucina in estate è spesso incongruamente guarnito di noccioli messi lì a seccare. Se poi li finisco, pazienza, li rimpiazzo con liquore Amaretto o grappa. Ma non c’è paragone.
La mia mamma raccontava che lo stesso profumo a volte la granda Vigia lo otteneva con una foglia di oleandro, rigorosamente una sola, perché tossica. Meglio evitare.
Procedimento: si mette al fuoco il latte con il sale, lo zucchero, la buccia di limone e le “larme ad pese”.
Quando il bollore si avvicina si aggiunge il semolino, a pioggia e mescolando. Si cuoce per dieci minuti a fuoco basso sempre mescolando, si spegne il fuoco e si dà un’energica sbattuta finale aggiungendo i tuorli.
Si rovescia la polentina ottenuta in una teglia inumidita con acqua e si stende fino a uno spessore di 2-3 centimetri. Si lascia raffreddare, si taglia a rombi, si passa nelle due uova sbattute e poi nel panpesto, e si frigge in olio alto. Si fa scolare bene su carta e si mangia subito.
La mia mamma portava sempre in tavola la fritura dusa sistemata a piramide, sul piattone ovale della festa, bianco e con la riga d’oro. Era proprio festa.