Skip to main content

IL MOMBA… OVVERO IL MOMBARONE!

ANDREA BARREL

“Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere.”

Dalai Lama

Sono le cinque e trenta del mattino e già mi muovo, scivolando fuori dalle coperte;
guardo fuori ed è una splendida giornata di sole settembrino.

Lei dorme ancora, dolcemente sprofondata nel letto.
Mi cambio silenziosamente e di soppiatto esco di casa per fare una bella corsa: 
sulle spalle uno zainetto leggero con una borraccia d’acqua.

Per le strade di Ivrea non c’è ancora nessuno.

Guardo su e il Mombarone mi fa l’occhiolino

Tra due settimane ci sarà la storica gara che arriva in cima, ma io non sono mai stato un corridore, mi piace muovere le gambe, quello sicuramente. Un refolo di vento si porta via il pensiero e mi ritrovo a correre tranquillamente lungo il lago Sirio: acqua calma, fresco all’ombra che si ritira. Il cielo blu fa da cornice al verde brillante delle montagne intorno.

Dai!

Ormai è quasi ora di tornare indietro, girare al lago San Michele e rientrare a casa dopo aver comprato i croissant per la colazione di Alessandra. E di nuovo il “Momba” è lì, appena alzo lo sguardo mi chiama, ed allora perché non salire fino a Bienca?
La salita della Bacciana è faticosa: “paspìvint’ani” avrebbe detto mia nonna!
Non importa perché la testa è lieve, mi godo l’aria fresca e le nuvolette di vapore quando espiro, come una vecchia locomotiva a vapore. 
La strada diventa un sentiero, qualche foglia è già caduta e le piante hanno una spruzzata di autunno sulla chioma. Una caviglia scricchiola, ma che bello muovere le gambe, il rumore dei propri passi come colonna sonora. Il bosco mi distrae con i suoi giochi di luce; uno scoiattolo mi scruta da un ramo prima di schizzare via, allegro più che impaurito. Arrivo a Bienca e la Serra è una riga tesa a tagliare il cielo, dietro, di nuovo luiil Momba.

Beh!

Potrei arrivare ad Andrate e tornare indietro, ho tempo: però… però c’è il tratto ripido che da Bienca porta al lavatoio sotto il paese ed è un bel tiro, fa sempre qualche vittima tra gli atleti.
Mi guardo intorno, Bienca e le sue case sono incastonate tra alberi e cielo e così rallento il passo, la corsa diventa una camminata, l’acido lattico inizia ad aggredire i muscoli, il sudore cola abbondante portandosi via i pensieri della settimana e del lavoro, sempre a pestare tasti su una tastiera in ufficio.
La sensazione di libertà fa il resto e mi ritrovo sopra Andrate, al bivio della strada sterrata che porta ad Oropa. 
Guardo l’ora ed è ancora presto, in fondo potrei scalare il mio piccolo Everest ed arrivare a San Giacomo, ma qui il sentiero è ripido e taglia più volte la strada. 
La silhouette della montagna ha lasciato il posto ad un gigante di roccia che lascia giocare noi piccoli umani sui suoi fianchi. 
Ed il suo richiamo suona ancora più forte, la voglia di salire anche.

Arrivo a San Giacomo

Il piccolo universo fatto di passi, respiro, pensieri e natura svanisce. 
Il parcheggio ha già qualche macchina e diverse persone si stanno sistemando lo zaino sulle spalle per salire. 
In fondo sono arrivato fin qui, potrei scendere, ma quella maledetta vocina torna a farsi sentire. Non urla, ma sussurra il suo richiamo.

Pinalba e Valneira

Sono mete raggiunte con leggerezza e con la consapevolezza che adesso potrebbe essere veramente tardi per comprare i croissant. 
Mi sento come Pierino prima di fare un dispetto: un sorriso si apre, mi godo il sole sulla pietraia. 
Arrivare al Lago è dura, poi di slancio il rifugio ed una preghiera …in cima.
Cavoli, il telefono ha poco segnale, è ora che avvisi Alessandra che sono di ritorno; forse per pranzo arrivo a casa, altro che colazione insieme.
Una breve chiamata, una piccola tirata d’orecchie con il sorriso da parte sua ed inizio a scendere godendo il panorama di una giornata tersa dove lo sguardo spazia dal Monviso alle alpi lombarde, i laghi intorno ad Ivrea brillano incastonati tra gli alberi. 
Arrivo ad Andrate e sono veramente stanco, si è fatto tardi.

Come posso farmi perdonare?

Vai! Trovato!
Una fermata alla panetteria ed un mega sacchetto di torcetti si infila nello zainetto vuoto: adesso avremo anche il dolce per pranzo, da gustarci con un buon bicchiere di passito. 
Sono molto stanco, ce la farò a tornare? Le prime edizioni della gara prevedevano anche il ritorno; oggi si fa “soltanto” la salita.
Quasi quasi mi cerco un passaggio, magari l’autobus che torna giù, magari uno del paese che scende.
Poi mi sento chiamare, mi giro e lei è lì che mi aspetta con gli occhi pieni di un dolce rimprovero: “Volevi tornare giovane oggi?” mi dice. 
“Lo sai che non hai più vent’anni. Andiamo, sono venuta a prenderti”.
Scendiamo insieme, chiacchierando il ritorno è rapido, siamo subito a casa.
Prima di rientrare, mi volto e il Momba è lì che mi fa l’occhiolino: è inutile, quella montagna aspra che incombe su Ivrea ha un richiamo irresistibile. Chi vive in Canavese, prima o dopo ci sale, per fare la corsa o per fare una passeggiata, di giorno o di sera per godere il tramonto e ammirare la luna che compare in cielo. 

Ci rivedremo, caro il mio vecchio Mombarone.

 

Condividi con un amico
Ti invio questo link perchè penso possa interessarti.

IL MOMBA…OVVERO IL MOMBARONE, https://visitcanavese.it/il-momba-ovvero-il-mombarone/