Strenna di Capo d’Anno
Buseca
La trippa canavesana
Buseca, busa: poca poesia e molta sostanza organica, in questi nomi antichi.
Il termine busa compare in vari scritti piemontesi a partire dal sec. XIII, si precisa in REP (Repertorio Etimologico Piemontese). Ma la parola è probabilmente arrivata ben prima qui in Canavese, come un po’ in tutta l’area piemontese-lombarda: più o meno 2.500 anni fa. Chi l’ha portata? I Celti, di cui conserviamo DNA e parole.
E così da tempo immemore noi canavesani usiamo la parola busa. Ma per dire cosa? Lo sterco, specie quello bovino. Sterco ampiamente apprezzato nei secoli, tanto che i latini lo definirono laetamen, letame, cioè “che allieta” i campi fertilizzandoli.
Poi civiltà industriale, concimi chimici, e nessuno più fa a gara per raccogliere nella cavagna le preziose buse depositate per strada, da interrare poi nell’orto e nella vigna. Pratica ancora presente nella mia memoria di bambina antica, e oggi impossibile: chi vede ancora bovini e buse per le nostre strade? Al massimo si incappa in una di quelle torte marroni in zone di pascolo, e l’incontro non è sempre gradito.
Che la buseca sia parente stretta della busa è intuitivo: è il canale dove la busa segue il suo corso naturale, l’intestino. In senso culinario, trippa: la buseca.
E cioè? E cioè una minestra antica come il suo nome, presente in mille varianti in tutta l’Italia settentrionale, tutte accomunate dal comandamento n.1 della civiltà contadina: che si ricavi cibo da ogni elemento naturale adatto e disponibile. Comandamento n. 2: che il cibo sia buono.
Qui l’elemento naturale è la trippa, e il piatto è straordinario.
A casa mia, come nelle altre case del Masero, mezzo secolo fa non c’era dimestichezza con la trippa bovina, in quanto non autoprodotta. Si conosceva però con precisione scientifica quella di maiale, animale “da cibo” immancabile in ogni famiglia, e di cui sfruttava ogni singola parte anatomica, esclusi peli, zoccoli e ossa. Per l’intestino andava così: lo si svuotava dalla busa (operazione spesso affidata ai ragazzini, perciò anche a me e a mia sorella), lo si lavava accuratamente, e poi i budelli dritti, grossi e piccoli, diventavano i contenitori del salame. E quelli tutti storti e bernoccoluti? Tagliati a pezzi piccoli, bolliti, e via: buseca.
Ogni famiglia la sua ricetta, ovvio. Ecco la mia, fedele a quella di casa nelle intenzioni ma inconsolabilmente diversa nel sapore. Sparita la buseca di maiale insieme al suo contesto contadino, è comparsa in cucina la trippa bovina del supermercato: buona, anzi più buona, ma diversa.
Ingredienti
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trippa bovina (si trova già bollita) tagliata a pezzetti regolari, 1 Kg
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carote 2
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cipolle 2
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sedano 2 gambi
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polpa di pomodoro ½ Kg o più, a piacere
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vino rosso: ½ bicchiere
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aglio a piacere
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mazzetto con alloro, salvia, rosmarino
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patate 1 Kg
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fagioli bolliti 1 Kg
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sale
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pepe e peperoncino a piacere
Procedimento
Facilissimo. Tagliare a pezzi e soffriggere cipolla, carota e due gambi di sedano nell’olio, in una pentola capiente; aggiungere la trippa e lasciar colorire a fuoco vivo mescolando spesso, se no attacca. Sfumare con il vino, poi aggiungere sale, pepe, peperoncino, pomodoro, mazzetto e acqua a coprire abbondantemente. Lasciar cuocere a fuoco basso a lungo, aggiungendo acqua se necessario, fin quando la trippa risulta morbida: ecco la trippa in umido, ottima anche così. Per ottenere la buseca – minestra si aggiungono le patate a pezzi piccoli, un gambo di sedano a pezzetti, i fagioli e acqua quanto basta. Si regola di sale, si lascia cuocere per un’altra oretta et voilà, fatto: sapore intenso, inconfondibile.
Piatto unico? Certo, per noi che non sfacchiniamo tutto il giorno all’aperto anche in pieno inverno. Anche attualissima “cucina circolare”. Ma soprattutto un omaggio formidabile ai comandamenti contadini n.1 e 2 e, almeno nel ricordo, al maiale, quel sole intorno a cui ruotano come pianeti tanti cibi contadini meravigliosi.
Teresina Enrico (Tiri)
“La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”
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Questo racconto e questa ricetta fanno parte di una sintetica raccolta, che noi abbiamo voluto chiamare “Strenna di Capo d’Anno” perchè è un dono, un regalo, che la Tiri ci “tramanda” e ci “consegna”, preziose ricette contadine e preziosi ricordi che non possono essere dimenticati. Buona lettura!