Dare del salame a qualcuno non è un complimento. È un salame chi è ingenuo, impacciato, insomma è “legato”, metaforicamente, proprio come lo è nella realtà il salame. E dire che la parola ha origine da un elemento da sempre simbolo di saggezza, il sale. Cum grano salis, con un granello di sale, ovvero con giudizio, dicevano i Latini di duemila anni fa.
Salamen per i Latini era la carne salata. Niente frigoriferi nè congelatori. Come conservare i cibi, e la carne in particolare? Facendoli seccare, dove il clima lo permetteva, o salandoli, e questo era possibile dappertutto.
A patto che si avesse a disposizione il prezioso sale, naturalmente; così prezioso da essere corrisposto anche come paga per i soldati e i lavoratori: il salario. E da dare il nome a una via antichissima, la Salaria, che da quasi tremila anni collega il mar Tirreno con l’Adriatico; lì il commercio del sale era già attivissimo al tempo della fondazione di Roma.
E allora carne salata a tutto spiano, dovunque. Qui da noi, in Canavese, in forma di salumi, fino agli anni ’50 del Novecento, cioè finché è durata l’antica civiltà contadina priva di tecnologie moderne di conservazione. Non che poi i salumi siano spariti dalla circolazione: troppo buoni per essere dimenticati. Non più indispensabili, nella nostra attuale dieta varia e fin troppo ricca; ma lo erano, eccome, ancora ai tempi della mia infanzia canavesana in quei lontani anni ’50-’60: erano cibo per tutto l’anno, soprattutto il salam bun, il salame vero e proprio.
Salame buono: significativo, no? Non che gli altri immancabili salumi non fossero apprezzati; ma se il salam ad patata, (salame di patata) il sausisot (cotechino) e la sausisetta (salsiccia) erano l’utilitaria, il salam bun era la Ferrari dei salumi, perché buonissimo e facile da conservare, sotto grasso. Cibo immancabile della domenica, ma anche base per tanti piatti da tutti i giorni: salame fritto con i cavoli, per accompagnare la polenta in inverno; ingrediente dei cogn pin (involtini di cavolo); frittata di salame, a Pasquetta; salam an bagna per un piatto veloce, tipicamente servito con il purè di patate.
Due scuole di pensiero, al Masero, dibattevano il tema del salam an bagna: i sostenitori della bagna rusa (sugo rosso, di pomodoro) e quelli della bagna bianca (sugo bianco, tipo besciamella). La mia mamma militava nei ranghi filosofici della bagna bianca, e faceva così.
salame fette spesse
burro
farina
sale
rosmarino
Tagliava a fette spessotte un salame e lo ripassava velocemente in padella con una bella dose di burro. Toglieva le fette e al fondo di cottura aggiungeva un cucchiaio di farina, lo lasciava colorire un po’, e sempre mescolando aggiungeva un mestolo d’acqua, sale, uno spicchio d’aglio intero e un ciuffetto di rosmarino. Un minuto di cottura, di nuovo in padella le fette di salame, un altro minuto di cottura, via l’aglio e il rosmarino.
“La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”
Questo racconto e questa ricetta fanno parte di una sintetica raccolta, che noi abbiamo voluto chiamare “Strenna di Capo d’Anno” perchè è un dono, un regalo, che la Tiri ci “tramanda” e ci “consegna”,che la Tiri ci “tramanda” e ci “consegna”, preziose ricette contadine e preziosi ricordi che non possono essere dimenticati. Buona lettura!
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